venerdì 29 agosto 2008

Ritardo premeditato

Il modo di guidare è un ottimo indicatore del grado di convivenza di una comunità.

Ad esempio, in Sicilia - dove sono appena stato per una splendida vacanza - guardando il traffico si capisce che manca il senso della collaborazione, uno degli elementi più decisivi per lo sviluppo locale.

Anzi, non solo manca, ma viene considerato come un'espressione di subalternità. Roba da persone non dignitose.

Così si ostenta l'indifferenza, segno dell' orgoglioso individualismo di chi vuole mandare un messaggio forte e chiaro al prossimo: io di voi me ne fotto.

Un esempio?
La guida con l'avambraccio sinistro penzoloni.
Il messaggio non verbale è: mi faccio solo i fatti miei; non chiedetemi altro.

Un altro esempio è il "ritardo premeditato".
Ogni gesto di relazione viene svolto con studiata lentezza affinché non sia percepito come l'esecuzione di un ordine, ma solo come scelta volontaria.

Questo vale anche fuori dal traffico.
Come quando mi avvicino alla cassa di un bar e c'è una signorina che appena mi vede avvicinare, sente il bisogno di chiamare l'amica per comunicarle una futilità.
Così mi mette in attesa, come a dire: decido io quando occuparmi di te, perché non sto qui a prendere ordini.

Devo dire che questi atteggiamenti - forse per i miei interessi in sociologia ed antropologia - mi colpiscono per la loro valenza culturale, più di quanto possano indispettirmi.

E mi viene da pensare che sono l'ennesima conferma che le comunità più democratiche ed evolute hanno perfezionato il senso di collaborazione e di fiducia reciproca.

Infatti, dove abbondano i furbi - i ladri di fiducia sociale - c'è ritardo di sviluppo.
E in Italia ne sappiamo qualcosa.

giovedì 14 agosto 2008

Ciao cana

Trilly è morta.
Così, di sera. Nella casa al mare.

La cana aveva 14 anni, ma mia moglie e mia figlia si sono disperate, nonostante sapessimo della sua grave cardiopatia. L'altra figlia è in Sicilia e abbiamo deciso di dirglielo al suo ritorno per non rovinarle la vacanza.

Io ho dovuto consolare tutti, ma con un macigno dentro.
Anche se le ho fatto tutti i dispetti possibili:
  • moto- orecchie: impugnate come fossero il manubrio di una moto con tanto di piccola ma fastidiosa rotazione per il gas di quella destra con rumore corrispondente
  • lifting cinese: tiraggio della collottola sopra la nuca fino a richiamare la pelle del viso per farle venire gli occhi lunghi da cinese
  • rapina in banca: alzare il sedere puntandolo verso i presenti e gridando "fermi tutti o sparo" (i miei nipoti da piccoli morivano dalle risate e mi chiedevano sempre di ripetere la scena...)
  • cana-canguro: alzarle da dietro le zampe anteriori e stringerle con le ginocchia quelle posteriori, per poi fare insieme dei salti da canguro.
  • i topetti di Frosinone: mimavo con le due mani dei topetti che si avvicinavano furtivi ai suoi polpastrelli per toccarglieli, cosa che le dava un gran fastidio (cantando con voce stridula un motivetto che mi sono inventato: siamo i topetti di Frosinone, siamo scesi alla stazione, affamati e molto arzilli, ci mangiamo le zampe di Trilly) e lei vedendo due "cose" camminare sulle dita verso le sue zampe, non sapeva a quale dedicarsi e ringhiava giarandosi nervosamente di qua e di là... fino a mordermi una delle due mani, ma piano.

Le dicevo spesso - per scherzare con le figlie che l'avevano tanto voluta - Non so se possiamo tenrti in casa, piccola cana, vedremo come ti comporterai...

Le abbiamo fatto il massaggio cardiaco, ma rimaneva ferma sul pavimento. Sembrava impossibile che fosse morta, aveva mangiato e girava sotto il tavolo a cena, come sempre, in cerca di qualche grassetto di prosciutto.

Dopo che sono riuscito a calmare un po' mia figlia e mia moglie, abbiamo scavato una buca in giardino, di notte, vicino alla palmetta. Poi ho chiesto a loro di allontanarsi e di lasciarmi solo.

Ho preso Trilly e l'ho adagiata nella buca in una posizione ancestrale, mettendole la testa nella sua posizione preferita. Sembrava dormisse.

Poi, ho iniziato a coprirla di terra, iniziando dal fondo e quando le ho coperto anche il muso, ho pianto anche io, in silenzio.

Va bene - le ho detto alla fine sudato, appoggiato alla pala - abbiamo deciso: potrai rimanere con noi.

venerdì 8 agosto 2008

Scrittura in miniera (2)

Descrivete quello che vedete dalla finestra dell'Ostello, alle 15.
Quando Paolo Nori - lo scrittore emiliano che guida il corso di scrittura in miniera - ci dà questo primo compito per la pausa di pranzo, mi sento spiazzato dalla banalità.

Ma quando lo faccio presente, imparo un'altra cosa.
"Lo so - fa lui - è banale. Ma l'ho fatto apposta per vedere come ve la cavate. Se lo stimolo del titolo è modesto, quello che scriverete sarà tutta roba vostra. Nel bene e nel male".

Ecco il mio compito.

"Fuori dalla finestra vedo la famiglia tedesca che gioca nell'immensa piscina del Resort Hotel, circondata dai pennoni con tutte le bandiere d'Europa.
Dicono che dal roof garden del 7° piano, si veda tutta la costa nord occidentale sarda.

Mi ricordo quando venni qui, nella calda estate del 2008.
Oltre questa finestra c'era solo un campo verde e selvatico, fermo sotto un sole di cicale".

mercoledì 6 agosto 2008

Scrittura in miniera (1)

"Sulla terra leggeri... Piccolo Festival sulla Leggerezza di Mezza Estate" con la collaborazione della "Scuola elementare di scrittura emiliana all'estero" di Paolo Nori.

Questo il testo della locandina, che mi ha letteralmente stregato, fin da quando mi ne ha parlato mia figlia.
Sì, perché era lei che era stata invitata e anche da uno dei principali ideatori, Flavio Soriga, un giovane scrittore sardo, affermatosi con il libro "Sardinia Blues", vincitore del Campiello.

Così, sono rimasto al mio posto, secernendo invidia da tutti i pori, fino a quando mia figlia mi dice che non potrà andare, per via di uno stage universitario che slitta nella conclusione.
"Allora ti secca se ci vado io?, le chiedo un attimo - anzi mezzo - dopo.

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Arrivo accompagnato in macchina, dopo essere atterrato ad Alghero, in una ex miniera dismessa e circondata solo dal borgo originario dei minatori e dalle poche case dei pescatori, infilate in una forra della costa.

Appena apro lo sportello, sento i profumi della Sardegna. Delle sue erbe aromatiche, distese sotto un sole caldo di cicale.

Siamo nell'ostello appena inaugurato e qui non solo dormirò, ma seguirò insieme agli altri le lezioni di scrittura tenute da Paolo Nori, uno autore emiliano molto apprezzato per la sua narrativa diretta e spiazzante.

So che dovrò dividere una doppia, ma non so ancora con chi.
Intanto appoggio in camera la mia valigia e scappo giù, verso la spiaggia, che già dagli ultimi tornanti appariva incredibile con i suoi ciottoli grigi come le rocce che la delimitano e il mare azzurro e così trasparente da lasciare a vista il fondale anche quando diventa più profondo.

Sto in acqua quasi un'ora. Non mi capitava da anni. Mi piace dopo aver nuotato, fare il morto a galla e sentire i rumori dell'acqua con le orecchie sommerse.

Nel risalire, vedo che all'inizio della spiaggia, arretrato c'è un chioschetto, il "Sombrero", con una tettoia di incannucciato e semplici sedie intorno a pochi tavolini. Più in là, il pannello un po' scolorito in lamiera dei gelati, con i prezzi corretti su quelli della stagione precedente.

Mi sembra di essere tornato agli anni settanta, quando questi chioschi c'erano anche vicino Roma e io ci compravo la gassosa, che dopo il sale del mare, mi sembrava ancora più dolce e più buona.

Il primo giorno non abbiamo scuola di scrittura, così mi butto sul letto, giusto per riposare dieci minuti gli occhi... (dormo più di due ore)

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La sera si parte con gli incontri letterari in piazzetta, con un palco tutto nero sul quale c'è solo il manifesto del Festival della Leggerezza. Siamo proprio all'anti-Billionaire.

Flavio Soriga intervista Milena Agus sul suo ultimo romanzo "Mal di Pietre".

Dalla conversazione esce tutta la fragilità e la forza di questa scrittrice, che continua a ritenersi una precaria della scrittura, perché imprevedibili e capricciose sono le ispirazioni che le muovono la mano.

Quando si chiedono domande al pubblico, rompo il ghiaccio: "Lei è una professoressa in un istituto commerciale; ora che si è affermata, perché non lascia l'insegnamento?"
"Oh no! - risponde quasi spaventata all'idea - non lascerei mai il mio insegnamento, perché è il mio lavoro, quello che mi dà uno stipendio sicuro. Se invece dovessi mantenermi con la scrittura, non riuscirei più a scrivere niente, presa dall'urgenza delle scadenze e del bisogno. No, no... io sono troppo ansiosa... e poi, per scrivere ho bisogno di normalità".

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Torno in ostello, si magia.
Mi siedo al tavolo e capito vicino a Flavio Soriga. Ci conosciamo direttamente.

"Sapessi quante raccomandazioni mi ha fatto mia figlia prima di partire - gli dico facendolo ridere - ... e non dire battute, non fare scherzi, non esagerare... mi ha fatto una testa così!"

"Stai tranquillo - mi fa lui - ora le dico che va tutto bene..."
"...io invece avrei un'altra idea: perché non la chiami dicendo che tu mi rispetti perché sono tuo padre..., ma che sto veramente facendo l'invadente". L'idea ci diverte.
Ma il piano non riesce solo perché mia figlia aveva spento già il cellulare.

Vado a letto morto di sonno.
E solo all'indomani saprò di aver dormito con un certo Enzo (piacere...) un bravo ragazzo di Treviso.