domenica 31 gennaio 2010

Eternità

Questa mania per la cremazione mi preoccupa.
Non ne faccio una questione religiosa, ma di tempi.
Infatti, mentre è una pratica molto comoda e igienica sulla terra, si rivelerà un problema nell'aldilà.

Già occorrerà aspettare il Giudizio universale, che si preannuncia molto laborioso per il tentativo di alcuni di pretendere clemenze ad animam, a cui opporrà - in caso di rifiuto - reiterati ricorsi al TAR (Tribunale dell'Altissimo Redentore).
Se a tutto questo ci aggiungiamo anche il tempo necessario alla risurrezione di quelli che hanno fatto spargere le loro ceneri (e che occorrerà ritrovare granello per granello), il tutto sarà lunghissimo.

A consolarmi è il pensiero che ci sarà l'eternità, che è sempre un periodo difficile da trascorrere tenedosi occupati.

mercoledì 27 gennaio 2010

Fortunato

Io non sono ebreo,
ma mi sento ebreo quando penso alla sofferenza dell'Olocausto.

Io non sono palestinese,
ma è come se lo fossi se guardo alla sofferenza di un popolo dimenticato a Gaza

Io non sono una donna
ma soffro per le violenze e le umiliazioni che ancora le donne devono subire.

Io non sono perseguitato,
ma impegno il mio tempo per rimuovere le ingiustizie.

Sono un uomo fortunato,
perché ho ricevuto amore e cultura.

Perché capisco il dolore.

domenica 24 gennaio 2010

Matteo Ricci

In Cina arriva per convertire, ma amodo suo.
Usando pazienza, rispetto e la sua sterminata cultura.

Il gesuita Matteo Ricci (a cavallo tra XVI -XVII sec.) di cose ne sa parecchie.
E la mostra che lo ricorda (Vaticano - Braccio di Carlo Magno) le elenca con dovizia.

Le vetrine sono una sequenza di appunti sulla lingua (che lui apprende con facilità), strumenti ottici, astrolabi armillari, compassi; e carte geografiche, che per il tempo hanno un'approsimazione notevole.

Dopo essere sbarcato in India, a Goa, Padre Ricci inizia una lunga marcia di avvicinamento verso Pechino, quando l'accesso in Cina era quasi impossibile.

A piccoli passi, arriva fino alla corte dell'imperatore, guadagnandone subito la considerazione grazie ai doni di conoscenze che offre, apprezzatissimi dagli studiosi di corte, ghiotti di novità.

Ricci usa anche qualche "effetto speciale": dicono le cronache, infatti, che spesso stupiva l'intera corte memorizzando numerosi ideogrammi, che poi scriveva non solo esattamente, ma nella stessa sequenza con cui gli erano stati proposti.

La parte più interessante per me di questo uomo è il suo approccio amichevole verso la cultura del posto. La sua predicazione si fonda non sulla sostituzione brutale delle usanze tradizionali con le pratiche cattoliche, ma procede con pazienza per armonizzare le due dottrine, individuando tutte le compatibilità possibili.

Del resto, occasioni di intersezioni con il Cristianesimo, il Confucianesimo ne offriva molte e così Padre Ricci rimodula il Vangelo seguendo l'antropologia locale.
Per esempio, importa il simbolo del bambù nel Cristianesimo, con le stesso significato confuciano di forza e resistenza alle avversità e lo fa ricamare nei sui paramenti.

Il risultato di questa autentica volontà di incontro è la conversione convinta di molti cinesi, poverissimi come appartenenti alla corte.

Come accade spesso, però, gli uomini illuminati sono bersaglio dei gretti.
E la curia vaticana dell'epoca non fa eccezione.

Padre Ricci viene criticato, anche duramente per non aver "imposto la verità".
Ma anche in questo caoso, la sua paziente tenacia ha la meglio.

Il Vaticano arriva alle stesse conclusioni con appena 300 anni di ritardo, quando il Concilio Vaticano II approva - anzi promuove - la così detta "inculturazione", cioè proprio il proselitismo missionario rispettoso, seguito da Matteo Ricci.

All'uscita, vedo sulla parete un drappo dell'epoca di una "madonna cinese" con tanto di bambinello con gli occhi a mandorla.

Mi colpisce la sua dolcezza.
E la distanza dell'eco di ritorno di un'immagine così familiare.

sabato 16 gennaio 2010

La prima cosa bella (film)

La nostalgia va saputa maneggiare.
E' come la panna: ingentilisce, ma copre.

Virzì nel suo ultimo film "La prima cosa bella" di panna ce ne mette parecchia, ma senza coprire troppo: nostalgia per la sua Livorno, le canzoni della sua giovinezza, il tempo che porta via le persone, lasciandoci solo il profumo della loro presenza.

Una madre troppo bella per vivere una vita normale, è costretta a fuggire con i suoi due amati figli da un tetto all'altro; da un uomo all'altro.

Ma nonostante tutto, si sforza per far vedere sempre il lato positivo delle cose, quello che il figlio, una volta diventato un insegnate (l'ottimo Mastandrea), non sa più vedere e che compensa con fumo e alcol.

Livorno torna a mostrarsi popolare e vitale - così come l'avevamo lasciata in Ovosodo.
Tutto - negli anni 60 e 70 - sembra ingenuonuo: le auto, le canzoni, i vestiti; persino i colori "pastellati" da polaroid delle scene.

Raccontare una storia è il pretesto per raccontare la sua fine, la cosa più importante della storia. Perché è il momento del senso, dei rimorsi, delle verità.

Una tempesta perfetta di sentimenti che si alza nell'ultima scena, con il crescendo della canzone e delle parole "...la prima cosa bella...che ho avuto dalla vita... "

E un bagno in mare.
La grande placenta, dove si torna feti felici ancora al riparo dalla nostalgia.

Giovani

Nel PD c'è un "equivoco giovani".

Per me giovani sono quelli che vogliono cambiare il mondo, che s'impegnano in battaglie di rinnovamento della società e del partito.
Insomma che lo spazio se lo guadagnano con iniziative, senza chiedere "quote" a nessuno.

Oggi, invece, vedo tanti vecchi trentenni, con anni di diligente "giovanile" sulle spalle, perfettamente conformi e che avanzano per scatti d'anzianità.

Se poi guardiamo i loro curricola la situazione diventa malinconica: ragazzi "maturi" che raramente hanno un titolo di studio o una professionalità (anche se alcuni, soprattutto donne, possiedono una preparazione ottima), ma che hanno sempre nuotato nelle acque tiepide dell'acquario di partito.

Quindi, sono molto contento per la candidatura della "giovane Bonino", con le sue cicatrici politiche e la sua intatta voglia di cambiare il mondo.

sabato 2 gennaio 2010

Istanbul

San Salvatore in Chora è una chiesa fuori dalle rotte turistiche di Istanbul, proprio perché fin dalla sua costruzione era "in chora", in campagna appunto.

Andiamo (tutta la famiglia) con i mezzi pubblici.
Uno, perché sono più divertenti di un taxi; secondo, perché il tram va come un missile nella sua bella corsia preferenziale, tagliando un traffico coagulato. Terzo, perché credo che se prendi un autobus in una città, non sei più uno straniero.

Scesi dal tram moderno e europeo, dobbiamo prendere la coincidenza di un minibus, uno "scarcassone" di almeno 30 anni ad uso dei residenti nella periferia , che solo la benevolenza di Allah e la tenacia dei turchi riescono a far camminare ancora.
Parlando in turco, l'autista senza qualche dente per sopraffare il rumore del diesel ci indica la strada a voce altissima.
La prendiamo e vediamo subito che la periferia e molto diversa dall'Ippodromo di Sultanahmet: panni stesi, buche, due gatti che si accoppiano in un cantiere con gli operai che ridono, ma senza imbarazzo, quasi con benevolenza.
Un gallo su un cartello attira la nostra attenzione e così scopriamo che (scritto a mano) quella è proprio l'indicazione della chiesa.

L'esterno è bellissimo e conservato decorosamente, data la sua veneranda età (sec.XI).
Ma è dentro che siamo letteralmente sopraffatti dalla pioggia delle immagini degli splendidi mosaici del soffitto e delle pareti.
Un racconto per fotogrammi bizantini, che narra tutta la storia di Maria ad iniziare dalla sua nascita.
E qui, c'è una vera e propria rarità: la madre Sant'Anna è ritratta con l'utero ancora dilatato dal parto e le acque che ne escono. Un realismo e una naturalezza nel trattare la nascita che non avevo mai visto prima e che mi dicono non ha pari in nessuna altra chiesa al mondo.

Passiamo da un locale ad un altro sempre a testa in su, a costo di rischiare un crampo al collo, fino a sbattere sull'immagine del magnifico ritratto di Cristo.
Un volto potente e palestinese, ben lontano dal biondo e ceruleo personaggio raffigurato nei santini che ci davano le suore al catechismo.

Una gruppo di anziani tedeschi ci pedina. Li osservo e spesso i nostri sguardi s'incrociano in sorrisi accennati e reciproci. Li ammiro, perché alla loro età (non credo ce ne fosse uno con meno di 80 anni...) vogliono ancora conoscere nuove, alla faccia dei dolori alle gambe e della prostata.

Torniamo in albergo esausti, ma io indugio un po' in strada e - approfittando della solitudine - mi concedo una ghiotta imprudenza. Compro da un venditore ambulante un "simit", una ciambella al sesamo. Lui si sforza di mantenere un contegno igienico e mi prende la ciambella con un tovagliolino, pago la mia lira (pari a circa 46 centesimi) e finalmente l'assaggio. Sarà la fame della camminata o la fragranza del sesamo, ma l'ho trovata buonissima!

A cena ci infiliamo in un ristorante senza pretese, pieno di persone locali impegnate con enormi piattoni di carne e verdure.
Con la solita sensazione di una puntata alla roulette, attacco il dito su una riga a caso del menù, ordinando un piatto con un nome che è un tamponamento a catena tra molte consonanti e poche vocali. Arriva un misto di verdure, carne e l'immancabile peperone verde alla griglia di 30 centimetri.

Andiamo a dormire con la sensazione di essere in una città ospitale e rilassata.
Penso all'ingresso della Turchia in Europa e mi sembra che non sia un azzardo, pur se con la necessità di compiere ancora qualche sforzo ancora
I pensieri si squagliano in sogni, mentre mi copro con le lenzuola che profumano di bucato asciugato al sole.