sabato 1 maggio 2010

Hopper

C'è silenzio nei quadri Edward Hopper.
Il gelo della solitudine delle sue atmosfere cerca sempre un raggio di sole con cui scaldarsi.

Le persone ritratte sono manichini immobili. Che non si guardano mai tra loro.
Non stilizzati come in De Chirico, ma con la stessa funzione simbolica, che supera e assorbe ogni rappresentazione reale.

Le visioni di pompe di benzina, locali al neon, stanza disadorne, sono nature morte urbane.

C'è molto narcisismo malinconico nelle tele in mostra a Roma.
Quello di un artista che non vuole comunicare attingendo da emozioni, ma che sfida l'attenzione dell'osservatore usando il quotidiano, l'ovvio, l'evidente, benché elaborato nello sforzo di distillare dal reale l'essenza dei vuoti.

Eppure, è proprio questo il fascino di Hopper, la sua non appartenenza a movimenti artistici, né a filoni stilistici, diventa la calligrafia inconfondibile di chi provoca emozioni fortissime per sottrazione.

Non c'è nulla di cui compiacersi nei suoi quadri. Se non l'estetica abrasiva dell'introversione.

1 commento:

Elena ha detto...

Lo sforzo di rappresentare la solitudine e l'incomunicabilità che abita le esistenze ordinarie produce una forma di sollievo in chi osserva.
Avevo sentito parlare di esposizione "misera". Ma credo di aver capito l'origine di questa considerazione. Credo che andrò.