sabato 2 gennaio 2010

Istanbul

San Salvatore in Chora è una chiesa fuori dalle rotte turistiche di Istanbul, proprio perché fin dalla sua costruzione era "in chora", in campagna appunto.

Andiamo (tutta la famiglia) con i mezzi pubblici.
Uno, perché sono più divertenti di un taxi; secondo, perché il tram va come un missile nella sua bella corsia preferenziale, tagliando un traffico coagulato. Terzo, perché credo che se prendi un autobus in una città, non sei più uno straniero.

Scesi dal tram moderno e europeo, dobbiamo prendere la coincidenza di un minibus, uno "scarcassone" di almeno 30 anni ad uso dei residenti nella periferia , che solo la benevolenza di Allah e la tenacia dei turchi riescono a far camminare ancora.
Parlando in turco, l'autista senza qualche dente per sopraffare il rumore del diesel ci indica la strada a voce altissima.
La prendiamo e vediamo subito che la periferia e molto diversa dall'Ippodromo di Sultanahmet: panni stesi, buche, due gatti che si accoppiano in un cantiere con gli operai che ridono, ma senza imbarazzo, quasi con benevolenza.
Un gallo su un cartello attira la nostra attenzione e così scopriamo che (scritto a mano) quella è proprio l'indicazione della chiesa.

L'esterno è bellissimo e conservato decorosamente, data la sua veneranda età (sec.XI).
Ma è dentro che siamo letteralmente sopraffatti dalla pioggia delle immagini degli splendidi mosaici del soffitto e delle pareti.
Un racconto per fotogrammi bizantini, che narra tutta la storia di Maria ad iniziare dalla sua nascita.
E qui, c'è una vera e propria rarità: la madre Sant'Anna è ritratta con l'utero ancora dilatato dal parto e le acque che ne escono. Un realismo e una naturalezza nel trattare la nascita che non avevo mai visto prima e che mi dicono non ha pari in nessuna altra chiesa al mondo.

Passiamo da un locale ad un altro sempre a testa in su, a costo di rischiare un crampo al collo, fino a sbattere sull'immagine del magnifico ritratto di Cristo.
Un volto potente e palestinese, ben lontano dal biondo e ceruleo personaggio raffigurato nei santini che ci davano le suore al catechismo.

Una gruppo di anziani tedeschi ci pedina. Li osservo e spesso i nostri sguardi s'incrociano in sorrisi accennati e reciproci. Li ammiro, perché alla loro età (non credo ce ne fosse uno con meno di 80 anni...) vogliono ancora conoscere nuove, alla faccia dei dolori alle gambe e della prostata.

Torniamo in albergo esausti, ma io indugio un po' in strada e - approfittando della solitudine - mi concedo una ghiotta imprudenza. Compro da un venditore ambulante un "simit", una ciambella al sesamo. Lui si sforza di mantenere un contegno igienico e mi prende la ciambella con un tovagliolino, pago la mia lira (pari a circa 46 centesimi) e finalmente l'assaggio. Sarà la fame della camminata o la fragranza del sesamo, ma l'ho trovata buonissima!

A cena ci infiliamo in un ristorante senza pretese, pieno di persone locali impegnate con enormi piattoni di carne e verdure.
Con la solita sensazione di una puntata alla roulette, attacco il dito su una riga a caso del menù, ordinando un piatto con un nome che è un tamponamento a catena tra molte consonanti e poche vocali. Arriva un misto di verdure, carne e l'immancabile peperone verde alla griglia di 30 centimetri.

Andiamo a dormire con la sensazione di essere in una città ospitale e rilassata.
Penso all'ingresso della Turchia in Europa e mi sembra che non sia un azzardo, pur se con la necessità di compiere ancora qualche sforzo ancora
I pensieri si squagliano in sogni, mentre mi copro con le lenzuola che profumano di bucato asciugato al sole.

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